ESPOSIZIONE
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Qualcuno ha provato a sostenere che il termine Malcantone significhi il posto dei magli, dei mulini o addirittura dei meli. Ma la realtà è semplice: il nome significa letteralmente brutto luogo, brutto angolo. Così ha voluto la storia, che ne ha fatto da secoli una terra di confine, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questa condizione comporta.
02 aprile - 29 ottobre 2023
Da qui sono passate persone, merci e idee, ma anche soldataglie e interi eserciti; banditi, vagabondi, esuli politici e perseguitati di ogni genere hanno valicato da una parte all’altra la Tresa o il crinale del Monte Lema, a seconda delle opportunità.
In origine il termine riguardava solo la valle della Tresa, dove l’uso è documentato dal XVII secolo, per poi comprendere anche la valle della Magliasina prima e la sponda destra della Bassa Valle del Vedeggio poi.
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Chi è malcantonese? Chi è nato nel Malcantone? Chi ci ha vissuto? Chi ci è passato? Chi ha avuto in qualche modo a che fare con la regione o con un malcantonese?
Se vogliamo comprendere tutte queste categorie l’orizzonte si allarga e, in un’ipotetica galleria degli antenati, possiamo includere una multiforme quanto curiosa rassegna di uomini e donne. Ritratti di persone sia anonime che illustri, grandi personaggi della storia che da qui sono passati, qui hanno vissuto o che con i malcantonesi sparsi nel mondo hanno avuto contatti. Non mancano anche personaggi letterari, concepiti dai loro autori nella nostra regione.
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Questo ambiente vuole dare un’idea della casa di una volta.
In dialetto la cucina si dice la o ra cà, una parte per indicare il tutto. Questo uso ci riporta sicuramente a tempi antichissimi, quando le capanne di nostri lontani antenati erano costituite da un unico locale, dove vivevano in promiscuità uomini e animali.
In realtà, ancora fino alla prima metà del XX secolo, in molte abitazioni questo è l’unico locale riscaldato e illuminato, dove si svolgono praticamente tutte le attività domestiche. Il salotto, il bagno, lo studio sono lussi riservati alle rare case borghesi, di recente costruzione.
Solo un altro ambiente offre, nei mesi freddi, un po’ di confort: la stalla, dove i corpi degli animali emanano un tepore che invita le famiglie a passarvi le serate. Si parla, si canta, si fila, si raccontano storie e si citano proverbi, specchi della saggezza popolare. Lì i giovanotti, girando di stalla in stalla, cercano le ragazze da marito. È la filéra, la veglia.
Vagava, sola, nella casa. Ed erano quei muri, quel rame, tutto ciò che le era rimasto di una vita.Carlo Emilio Gadda
La cognizione del dolore -
Le prime tracce di popolamento stabile dell’attuale Malcantone risalgono alla fine del Neolitico, secondo millennio avanti Cristo. Ritrovamenti occasionali o scavi archeologici (come la necropoli della Forcora di Cademario e la villa romana di Bioggio) testimoniano la costante occupazione del territorio, e la sorprendente antichità dei nostri villaggi.
Da quei tempi lontani si sono succedute decine di generazioni. Per secoli migliaia di persone sono nate, hanno vissuto, sono morte in condizioni spesso molto difficili. La fame, o almeno la scarsità e la monotonia del cibo, sono condizioni ben conosciute anche da noi fino alla seconda guerra mondiale.
Dati riferiti al XVIII secolo ci dicono che la speranza di vita alla nascita non arriva a 30 anni, mentre quasi un neonato su tre muore nel corso del primo anno di vita. L’elevata mortalità è tradizionalmente compensata dall’alta natalità. Questa è legata ai ritmi migratori: generalmente i figli, concepiti durante la permanenza invernale degli uomini, nascono l’autunno successivo. La stessa stagionalità si osserva nei matrimoni, celebrati nel passato senza alcun fasto, magari di buon mattino per poi dedicare al lavoro le ore diurne
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Il cristianesimo giunge nelle nostre terre da Milano e soprattutto da Como attorno al V-VI secolo. La pieve di Agno costituisce il centro di irradiazione locale. Nei villaggi sorgono chiese, che in certi casi prendono il posto di luoghi di culto precristiani e, nel corso dei secoli, si staccano dalla plebana, costituendosi in parrocchie autonome. A volte la dedicazione della parrocchiale tradisce le antiche origini: S.Ambrogio di Cademario, S.Lorenzo di Breno e S.Vittore Mauro di Aranno, ad esempio, ci rimandano con ogni evidenza alla Milano paleocristiana; S.Pietro di Curio al monastero pavese di S.Pietro in Ciel d’Oro, che nell’Alto Medioevo vantava nella nostra regione vasti possedimenti. La Collegiata di Agno, dedicata a S.Provino, secondo vescovo di Como, testimonia il legame con questa città.
La nuova religione non cancella completamente le vecchie pratiche pagane. Alcune vengono riprese e incluse nel calendario liturgico cristiano: si pensi, per fare due soli esempi, alla festività dei morti e al carnevale. Altre sopravvivono più o meno clandestinamente, dando origine a rituali e credenze che, in taluni casi, finiranno per essere definiti superstiziosi e perseguitati quali manifestazioni di stregoneria. Vi sono pratiche ibride, come il segnare, dove a riti magici le guaritrici accompagnano preghiere e invocazioni cristiane. Altre, apparentemente innocue come l’accensione di falò o lo sparo di mortaretti in occasione delle più importanti feste religiose, rimandano a usi propiziatori e apotropaici (tesi cioè a scacciare il male) che si perdono nella notte dei tempi. E che dire della festa del maggio, sopravvissuta nel Malcantone, anche se in forme non sempre spontanee, fino ai nostri giorni?
Pure di particolare interesse, anche perché ancora praticato nelle chiese di S.Bartolomeo a Croglio e S.Stefano a Miglieglia, il rito dell’apostolare: le coppie senza figli invocano la grazia accendendo dodici candele in corrispondenza delle immagini degli apostoli, all’eventuale nascituro si imporrà il nome dell’apostolo sotto il quale si spegne l’ultima candela.
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Sono della fine del 1500 le prime notizie di scuole tenute da religiosi nel Malcantone. Ne troviamo a Sessa, Caslano, Ponte Tresa, Breno, Mugena. In genere la loro attività sembra essere sporadica, condizionata dalla buona volontà dei parroci da una parte, dalla necessità di manodopera infantile per i lavori agricoli e dall’emigrazione stagionale anche di giovanissimi dall’altra. Comunque le necessità imposte dal prevalente impiego dei migranti nel campo della costruzione sommate alla difficoltà di utilizzare sistemi di pesi, misure e monete complessi, mutevoli e non decimali, consigliano l’acquisizione di un sia pur minimo bagaglio di competenze nel calcolo e nella scrittura. Passaggio al decimale?
Non si hanno dati sul tasso di alfabetizzazione, ma è pensabile che sia ragionevolmente elevato anche se, ancora a metà Ottocento, quasi la metà delle ragazze e dei ragazzi in età dell’obbligo disertano le scuole.
In quel secolo, mentre le famiglie benestanti fanno capo a istituti privati lombardi per l’educazione dei loro figli, si afferma fra mille difficoltà il principio della scuola pubblica statale per allievi di entrambi i sessi. Nel Malcantone come altrove sorgono istituti pubblici elementari e maggiori, spesso grazie a iniziative filantropiche che stimolano e sostengono finanziariamente l’intervento pubblico. La sede del Museo del Malcantone è edificata nel 1854 quale scuola maggiore e del disegno. Istituti simili sorgono a Sessa, Agno, Breno, contribuendo a corroborare, con materie specifiche, la tradizionale vocazione locale per i mestieri del muratore, del pittore decoratore e dello stuccatore.
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Come le parrocchie si sono formate separandosi gradualmente dalla chiesa plebana, quella di Agno nel nostro caso, anche i comuni rustici sono nati dal progressivo smembramento delle antiche comunità di valle. Spesso restano tuttavia legati fra di loro con organismi sovracomunali: castellanza, centena, concilio.
Le vicinie, questo il nome degli antichi organismi che gestiscono i comuni, affrontano secolari conflitti con le proprietà nobiliari e ecclesiastiche e i loro gravami, dai quali cercano progressivamente di liberarsi. Breno, ad esempio, nel 1579 acquista dall’abbazia comasca di S.Abbondio i beni e i diritti che gravano sul suo territorio.
L’assemblea delle antiche famiglie che possiedono beni comuni (alpi, boschi, pascoli) è detta vicinanza. Si riunisce più volte all’anno e i suoi verbali sono tenuti da un notaio: per questa ragione molti sono giunti fino a noi, custoditi nei loro archivi. Essa gestisce il comune sulla base di statuti che riprendono antiche consuetudini, elegge il console (oggi diremmo il sindaco), il camparo (la guardia campestre), l’estimatore e il determinatore, responsabili delle stime e dei termini.
Nel periodo dei baliaggi seguito alla conquista svizzera (dall’inizio del XVI alla fine del XVIII secolo), il console presta giuramento davanti al capitano reggente di Lugano, o landfogt, e siede nel congresso generale della comunità. In quest’epoca l’ammistrazione della giustizia civile e penale (distinta in criminale e maleficio) era la maggior preoccupazione del capitano, il quale spesso, per avidità, preferisce applicare pene pecuniarie piuttosto che corporali.
Nel 1803, con l’indipendenza ticinese nasce il comune moderno, mentre l’antica vicinia sopravvive nel patriziato, che continua a tutt’oggi a gestire gli antichi beni comuni. Nel Malcantone come in tutto il nuovo Cantone, la lotta politica è caratterizzata da asprezze oggi difficilmente immaginabili, sia nei toni che nei fatti. Gli scontri verbali fra radicali e moderati nelle assemblee e sulla stampa spesso preludono a minacce, percosse, fucilate. Solo con la cosiddetta rivoluzione del 1890 si assiste a un progressivo abbassamento dei toni e all’abbandono della violenza fisica.
L’Ottocento è anche il secolo delle lotte risorgimentali italiane, cui molti malcantonesi prendono parte attiva arruolandosi nelle colonne di volontari, accogliendo profughi e sostenendo in vari modi l’unità d’Italia.
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Sembra scontato affermare che un tempo gran parte delle famiglie sono dedite all’agricoltura e che da essa ricavano il necessario per vivere. Ma la realtà è più complessa. Se si escludono gli affittuari delle masserie del basso Malcantone, per forza di cose occupati quasi esclusivamente nei campi, nei vigneti e nei boschi presi in gestione, per tutti gli altri il lavoro è un complesso di attività di sorprendente varietà. Allevamento, campicoltura, orticoltura, viticoltura costituiscono la base comune delle attività lavorative alla quale si sommano lavori artigianali più o meno sporadici e più o meno specializzati. Il tutto, com’è noto, condizionato dall’emigrazione stagionale maschile. Più fonti ci dicono come questa riguardi la quasi totalità degli uomini in età di lavoro, con il risultato di lasciare a donne, bambini e anziani tutto il peso dei lavori agricoli e domestici. Una fatica oggi difficilmente immaginabile ha accompagnato la vita quotidiana delle generazioni che ci hanno preceduto.
Il mulino e qualche sparuta vela dei barconi da trasporto sono, fino a quasi tutto l’Ottocento, le sole macchine a energia inanimata. Il resto richiede la forza muscolare di uomini e animali.
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Lo spazzacá (ma anche camarín a Mugena, lòbia a Breno, lobión a Bosco Luganese, caldana a Astano) è il locale, solitamente posto nel sottotetto, dove le generazioni che si susseguono nell’abitazione di famiglia accumulano per secoli la suppellettile domestica non più utilizzata, gli attrezzi da lavoro rotti o inutili, insomma tutto quanto non serve più nell’immediato ma che potrebbe magari servire in futuro.
In questo ambiente abbiamo raccolto una selezione di materiali della nostra collezione: fra cose ben note si celano anche oggetti strani, dei quali si è ormai quasi persa la memoria.
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Se la galleria degli antenati prova a cercare il mondo nel Malcantone, qui l’operazione è inversa, e sempre un po’ giocosa. Questa rappresentazione raggruppa, fino a formare un’ipotetica e sorprendente città, una serie di edifici sparsi nel mondo realizzati da malcantonesi o che con essi hanno un legame.
Quale simbolo di questa rappresentazione si è scelto il modello del progetto originale della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di S.Pietroburgo, elaborato da Domenico Trezzini (Astano circa 1670 - S.Pietroburgo 1734), autore anche di altre costruzioni e soprattutto dell’impianto urbanistico della città di Pietro il Grande, fondata nel 1703.
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La distinzione fra chi parte per vivere e chi per creare è sicuramente arbitraria, ma utile per dare un’idea complessiva di un fenomeno, la nostra emigrazione, ben lungi dall’essere compiutamente conosciuto.
Da quando comincia ad esserci un minimo di documentazione, quindi in linea di massima dal XVI secolo, sappiamo con certezza che una percentuale variabile ma comunque molto importante degli uomini del Malcantone emigra per esercitare tutta una serie di attività, prevalentemente nel campo della costruzione e della decorazione. Ecco dunque i muratori, gli imbianchini, i gessatori, ma anche i pittori-decoratori, gli stuccatori, i pittori e gli incisori. Punto di contatto fra il campo delle attività artigianali e quelle artistiche sono gli stuccatori. La loro attività, basata sulla perizia manuale e su solide competenze, raggiunge a volte un livello propriamente artistico, lasciando tracce in palazzi e chiese sparsi per tutta l’Europa e le Americhe. Non mancano ingegneri, soprattutto militari, e architetti, titoli un tempo acquisiti solo dopo lunghi e faticosi apprendistati nei cantieri.
Poi ci sono i fornaciai, che costituiscono la vera specializzazione regionale. Si devono contare a migliaia gli operai attivi nell’arco di quattro secoli, mentre abbiamo testimonianza di oltre trecento fornaci proprietà di malcantonesi, sparse nel mondo e attive nel corso degli ultimi cinque secoli.
Lo studio e la documentazione dell’attività di questi nostri antenati è da sempre al centro dell’attività espositiva e di ricerca del Museo del Malcantone.
Partire per creare
I Mercoli di MugenaQuesta sala raccoglie una scelta di opere dei Mercoli di Mugena, un’importante famiglia si stuccatori, pittori e incisori. Essa vuole essere rappresentativa della qualità toccata dalla nostra emigrazione artistica.
Bernardino (Mugena 1682-1746), pittore. Allievo di Angelo Massarotti a Cremona, nel cui duomo lascia dei lavori, e di Carlo Maratta a Roma. Sue opere sono segnalate in numerosi edifici sacri del Luganese. Suoi sono gli affreschi nella cappella della Beata Vergine di Caravaggio a Aranno (1745)
Giacomo I (Mugena - Milano 1785). Fu soprattutto incisore, ma anche pittore e stuccatore. Attivo a Milano, si firmava Jacobo Mercurus.
Giacomo II (nipote del precedente, Mugena 1751-1825). Stuccatore prima e incisore di chiara fama poi, quando un incidente lo costrinse a un’attività più sedentaria alla quale fu avviato dallo zio. Attivo nella Milano neoclassica, collaborò con le più importanti personalità artistiche dell’epoca operanti nel capoluogo lombardo, come l’architetto di Bedano Giocondo Albertolli, insegnante di ornato presso l’Accademia di Brera o il pittore Andrea Appiani. Per l’architetto Giuseppe Piermarini incise il progetto del teatro alla Scala e quello della villa reale di Monza, mentre per il Quarenghi, attivo a S.Pietroburgo, incise a Mugena i progetti del teatro dell’Ermitage e della Borsa.
Michelangelo (figlio di Giacomo II, Mugena 1773-1802). Avviato giovanissimo alla carriera di incisore, arte per la quale dimostra un eccezionale talento, interrotta purtroppo da una morte precoce. Si firmava Mercoli fils, a testimonianza della fama raggiunta dal padre. Autore di un celebre ritratto di Napoleone Bonaparte e dell’incisione che rappresenta il passaggio del Po a Piacenza dell’armata di Napoleone.
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La collezione del Museo del Malcantone comprende una notevole quantità di materiali che non possono essere tutti esposti, sia per mancanza di spazio sia per il fatto che si tratta spesso di manufatti molto simili. Si ritiene tuttavia utile offrirne una visione d’assieme in questa Wunderkammer, esponendo qui oggetti di ogni tipo: comuni, curiosi, rari, misteriosi, significativi, banali. Lasciamo ai visitatori il piacere di esplorare, osservare, confrontare.
Parte di quanto esposto è affiancato da immagini che rivelano un’affascinante realtà. Fino alla Rivoluzione industriale del XIX secolo e ancora nella prima metà del XX, gli strumenti di lavoro e le suppellettili domestiche, sono a volte assai antichi e trasmessi per generazioni o comunque sostanzialmente uguali a quelli usati molti secoli prima: persino nel Medioevo, se non addirittura nell’Antichità.
Vetrina
A partire dall’Ottocento, la produzione industriale mette a disposizione dell’uomo sempre più beni di consumo, oggetti di ogni tipo, strumenti di lavoro. Negli ultimi decenni la tecnologia informatica ha avviato un processo inverso, miniaturizzando e concentrando un’infinità di apparecchi in piccoli dispositivi: vi siete mai chiesti cosa contiene in realtà uno smartphone? E ancora: molti strumenti di lavoro raccolti in questa sala sono stati prodotti da colui che li ha poi utilizzati. Chi potrebbe oggi produrre gli oggetti che utilizza? -
Oggi siamo continuamente circondati dalla musica: la possiamo ascoltare ovunque e siamo in grado di procurarci facilmente qualsiasi brano desiderato. Una volta non era così e il rapporto con la musica era per forza attivo: le canzoni si dovevano cantare, la musica da ballo suonare. Solo dai primi decenni del Novecento i grammofoni e gli apparecchi radio, tuttavia riservati ai benestanti, mettono fine a questa necessità e ci fanno progressivamente diventare fruitori prevalentemente passivi.
Il canto
Il canto accompagna la vita delle generazioni passate. Canti di lavoro, ninne-nanne, serenate. Canti rituali per momenti particolari: i matrimoni, le questue, il maggio. Canti narrativi i cui temi si riferiscono spesso a racconti circolanti in ogni angolo d’Europa almeno dall’epoca medievale.E non si devono dimenticare i canti sacri, in latino fino al Concilio Vaticano II, che permettono ai fedeli di appropriarsi dello straordinario patrimonio di musica colta della Chiesa.
Il ballo
Fino all’inizio dell’Ottocento la musica da ballo è suonata, in occasione delle feste laiche come il carnevale o il maggio, prevalentemente con zampogna e violino. Questi sono però sostituiti nel corso del secolo dalle fisarmoniche, da vari tipi di pianole meccaniche e dagli strumenti (di regola ottoni e clarinetto) delle bandelle, formazioni ridotte delle bande musicali vere e proprie. Si introducono nuovi balli, scottish, valzer, mazurca, polca, che soppiantano e fanno dimenticare i più antichi, come l’ajorosa, la corrente, la monfrina o la giga.La banda musicale
Dopo l’epoca napoleonica e la grande diffusione delle formazioni musicali negli eserciti, nascono in tutto il Malcantone numerose bande musicali, attive soprattutto nei mesi invernali, quando rientrano gli emigranti stagionali, spesso riportando in paese cognizioni, spartiti e strumenti. In genere la loro attività ha una connotazione politica e in molti villaggi è documentata l’esistenza sia della filarmonica del partito liberale che di quello conservatore.