Ci fu un tempo che la torre di Mesenzana che oggi si alza, solitaria, al di sopra del paese era invece addossata ad un bel palazzo, circondato da alte mura, che ospitava la corte dei Da Mesenzana, grandi feudatari della Valcuvia.
Ora del bel castello dei conti resta ormai solo la torre, muta testimone di una triste leggenda: la favola del conte Fredo.
All'epoca delle lotte tra i Visconti e l'imperatore tedesco Carlo, viveva nel castello un bel ragazzo: Fredo, unico figlio ed erede del conte Da Mesenzana. Quando il giovane raggiunse l'età del matrimonio, il padre scelse per lui, come futura moglie, la più bella ragazza della Valcuvia. Si chiamava Celeste (dal colore dei suoi occhi) ed era figlia di un cortigiano di Grantola. Appena gli fu presentata ufficialmente, il giovane Fredo si innamorò subito di Celeste. La ragazza era di una bellezza splendente, allegra, tranquilla, bene educata. La moglie perfetta.
Qualche mese dopo, un mattino di primavera, le campane della chiesa di Mesenzana suonarono allegre per annunciare a tutta la valle le nozze di Folco con Celeste.
Nel cortile del castello, sotto l'ombra della grande torre erano state approntate le tavole per il gran banchetto nuziale.
Il vino del Sasso di Gavirate scorreva a fiumi dalle botti mentre nobili e valligiani, di buon appetito, addentavano le cosce di pollo arrosto, le spalle di montone allo spiedo, le quaglie in guazzetto, aspettando il momento di assaggiare le tome di capra del Luinese e le mele e noci di Cavona. Solo il barone Ruggiero Da Sexa, signore del Malcantone, non era allegro come gli altri. Con occhi avidi guardava la bella sposa e pensava: ''Ah! Se quella splendida ragazza fosse mia!" ed il desiderio rodeva il suo animo.
Il conte Fredo viveva in tempi di grandi lotte per il predominio. Quasi ogni anno era guerra: i Visconti, signori della Lombardia, ai quali i Da Mesenzana dovevano obbedienza, erano impegnati in sanguinose battaglie contro le forze alleate del Papa e dell'Imperatore.
Fredo ormai aveva raggiunto la maggiore età e, morto il padre, toccò a lui indossare l'armatura per guidare le milizie della Valcuvia, alleate ai Visconti, ad affrontare le armate tedesche che scendevano dal passo del Gottardo.
Ma, prima di partire s'intrattenne lungamente con l'amata Celeste. Infine stringendola forte sul cuore, le fece l'ultima raccomandazione: "Ho spezzato in due il mio anello nuziale. Prendine questa metà, io conserverò preziosamente l'altra metà su di me. La guerra dovrebbe durare sei mesi, se dopo un anno non sarò tornato, risposati. Ma, attenta! Assolutamente non sposare il barone Ruggiero! Quell'uomo non mi piace. Egli mira solo ad impossessarsi del nostro feudo!"
Il barone era effettivamente conosciuto nella regione per il suo animo crudele e per la sua sete di potere. Egli cercava in tutti i modi d'ingrandire le sue proprietà e Mesenzana sarebbe stata per lui un ghiotto boccone.
Dall'alto della torre Celeste, con le lacrime agli occhi, vedeva allontanarsi il marito, splendente nella sua armatura, alto sul suo focoso destriero. Seguito dagli armati del suo feudo, in un balenare di lance e picche. Presto sparirono alla vista della giovane donna, inghiottiti dalla foresta.
Passarono lunghi mesi fatti di lunghe giornate monotone. Per Celeste il domani era uguale a ieri, inevitabilmente. Le mancava il suo grande amore: Fredo. Tutto le parlava d'amore: il canto degli usignoli, il tubare delle tortorelle, i puledri che ruzzavano nel prato. Tutto le ricordava i bei giorni passati col suo uomo. Passarono due mesi senza che giungessero notizie del barone e dei suoi uomini. Celeste ormai passava lunghe ore sulla torre a scrutare l'orizzonte, sperando di vedere il sole giocare sull'armatura del suo amato sposo. Nulla! Sembrava che il conte fosse scomparso nelle fredde nebbie del nord!
Alcuni viaggiatori portavano notizie di terribili battaglie con le forze dell'imperatore. A volte tornava un soldato fuggiasco. Ma nessuno sapeva cosa fosse avvenuto del conte di Mesenzana. Qualcuno diceva che era morto in battaglia. Altri che lungo la via era caduto in un burrone là, tra le alte montagne.
In realtà Fredo era vivo. Ma prigioniero. Durante un aspra battaglia era caduto da cavallo e, catturato dagli uomini dell'Imperatore, era stato trascinato in catene al di là delle Alpi in una lontana fortezza tedesca, a languire in una tetra prigione. Al quarto mese d'attesa il barone Ruggiero venne a trovare la contessa di Mesenzana.
Egli non era certo bello come Fredo, ma era un uomo ben fatto ed aveva lineamenti piacevoli. In più colmava Celeste d'attenzioni... e doni.
Sempre più spesso veniva in visita alla donna e presto fu un ospite abituale al castello con la grande torre. Ormai Celeste non capiva perché Fredo le avesse detto di guardarsi da quell'uomo così gentile che la faceva ridere con le sue facezie.
Così dopo cinque lunghi mesi si udirono di nuvo le risate gioiose ed il suono delle viole e dei flauti, i canti dei trovatori risuonarono ancora tra le mura di pietra. E quando il barone Ruggiero fece notare alla contessina che ormai doveva considerarsi vedova e che per quanto fosse triste era meglio pensare a nuove nozze, l'uomo vide un incoraggiamento nello sguardo tenero con cui Celeste gli rispose. Una notte di pioggia il barone Ruggero rimase a dormire al castello di Mesenzana... Celeste lasciò aperta la porta della sua stanza... quando ormai tutti dormivano il barone la andò a trovare ed i due si amarono.
Ormai Celeste era innamorata di Ruggero...
Così il conte Fredo fu dichiarato morto e passato il mese di lutto la contessina ed il barone si fidanzarono. Quella notte a Sessa il barone radunò i suo seguaci e festeggiò con loro le prossime nozze: "Finalmente Mesenzana sarà mia! sghignazzò il barone chiuderò la contessa nella torre, che pensi solo ad accontentare le mie voglie! Ci penserò io a pelare vivi i suoi sudditi con le imposte ed i balzelli! La ricca Valcuvia sarà il nostro bottino! E senza nessuna fatica! Come sono sceme le donne, due carezze e cadono subito ai tuoi piedi". Nei giorni seguenti un'agitazione festosa percorse il castello di Mesenzana: servi battevano i tappeti, travasavano il vino, decoravano le sale, e le damigelle cucivano il nuovo corredo della contessina. Tutto doveva essere perfettamente pronto per le nozze che avrebbero avuto luogo tra un mese.
E Fredo? Fredo, magro, sporco, con la barba ed i capelli lunghi e arruffati, le vesti ridotte a stracci, giaceva nel buio di un umida cella pensando alla sua Celeste, immaginandola fedelmente seduta alla finestra della torre. Mai supponendo di essere stato ormai dimenticato! Dopo solo cinque mesi!
Una notte di luna piena un essere misterioso, tutto avvolto in un grande mantello, comparve come per incanto sugli spalti della fortezza dove era imprigionato il conte, lassù nelle fredde montagne del nord.
La nera figura scivolò nei corridoi come volando tra le guardie addormentate e fermandosi un attimo davanti alla cella del conte, vi entrò dentro magicamente traversando il ferro del portone come se fosse nebbia.
Immaginatevi lo stupore di Fredo quando si vide comparire dinanzi come dal nulla la nera sagoma dello sconosciuto. Chi fosse il misterioso visitatore il conte lo capì subito dal puzzo di zolfo che emanava. E quando un raggio di luna passando dalle sbarre illuminò il volto spaventoso e grifagno di quell'essere cornuto, Fredo fu sicuro di trovarsi di fronte a Satana!
"Fredo disse il diavolo sogghignando ti porto notizie della tua Celeste: ti ha dimenticato ed entro pochi giorni sposerà il barone Ruggiero!" Fredo si prese la testa tra le mani e scoppiò a piangere.
"Dammi la tua anima e ti libererò magicamente ed in volo ti porterò a Mesenzana!"
"La mia anima è di Dio!" urlò Fredo.
"Dammi allora la tua parola che mi darai la tua terra, le ricchezze della Valcuvia!"
"Le ricchezze della Valcuvia appartengono alla sua gente!" rispose fieramente il conte.
Furioso il diavolo gridò: ''Allora crepa in prigione!" e si apprestò a scomparire. ''Aspetta gli gridò Fredo ti potrai prendere le anime dei primi cento che entreranno nella chiesa di Mesenzana per la messa solenne che verrà eseguita per il mio ritorno, tranne il prete che è servo di Dio ed i chierichetti che sono bimbi innocenti!"
Satana si sfregò le mani tutto contento: che patto vantaggioso! Cento anime in un colpo solo! ''Accetto disse tendendo la mano al conte suggelliamo il nostro patto! Cento anime... me lo prometti?"
"Certo rispose Fredo stringendo la mani al diavolo ti prometto solennemente che le prime cento anime che entreranno in chiesa saranno tue!"
In un fumo pestilenziale, tra lampi e folgori, Fredo si trovò libero, in bilico sul tetto della fortezza ''Aggrappati forte al mio mantello gli disse Satana voleremo a Mesenzana". E con Fredo che si teneva stretto stretto a lui, l'essere diabolico si levò in volo. Dall'alto Fredo vedeva passare sotto di lui le città della Germania ed i suoi campi ricchi di messi, e le alte montagne delle Alpi ed ecco i laghi svizzeri, poi ancora cime innevate e finalmente il lago Maggiore, il castello d'Angera e l'amata Valcuvia. Il diavolo atterrò sulla cima del Monte Pian Nave e depositò a terra Fredo sano e salvo. "Ricordati la promessa! sussurrò a Fredo, guardandolo minaccioso le prime cento anime... " ed in una nuvola di fumo sulfureo scomparve.
Fredo si guardò: era conciato come un mendicante, lurido, magro da far paura, gli occhi infossati, la barba ed i capelli che gli arrivavano ai ginocchi, le lacere vesti che ricoprivano a malapena le sue nudità. Ma non c'era tempo per lavarsi, per cercare dei vestiti... sentiva le campane di Mesenzana che chiamavano i sudditi in chiesa per le nozze di Celeste con Ruggiero. Bisognava correre giù dai monti per impedire questo infausto matrimonio!
Fredo arrivò al castello di Mesenzana quando gli ultimi ritardatari entravano nel cortile del castello. Entrò nel portone ma i soldati, non riconoscendolo, lo scacciarono in malo modo. Un servitore vedendo la scena disse alle guardie:
"Lasciate pure entrare quel povero mendicante, oggi è giorno di festa! Ci sarà anche per lui qualche avanzo del banchetto da mangiare!" e così il conte potè entrare nel cortile di quello che era stata la sua dimora. Davanti all'entrata della grande torre seduti su due troni riccamente ornati, splendenti nei loro sontuosi abiti di gala i due futuri sposi attendevano il Pievano di Brebbia che avrebbe offìciato la cerimonia.
Ecco il Pievano col suo nobile seguito! Scende dalla mula bianca e si dirige altero verso i due sposi. Insieme formano il corteo e sotto gli occhi allibiti di Fredo, stretto tra la folla degli spettatori plaudenti, entrano in chiesa e vanno verso l'altare.
Fredo riesce a fendere la folla e gettando a terra una guardia che cercava di fermarlo si getta ai piedi del Pievano: "Pietà Monsignore grida tra le lacrime non commettete un sacrilegio sposando questa adultera col suo amante!" "Come adultera? urla il vescovo allibito siete pazzo? Essa è vedova, il conte Da Mesenzana è morto in guerra!"
"No! Egli è vivo! E sono io!"
"Come potete essere voi il mio defunto marito! Voi un miserabile straccione!" grida Celeste furiosa. Fredo si denuda il petto mostrando il mezzo anello nuziale che porta appeso al collo: "Vi ricordate questo? Solo io e voi possiamo ricordarcelo, c'eravamo solo noi sulla torre quel giorno! Voi avete la metà di questo anello".
Celeste impallidì... eppure ora che lo guardava bene... quel volto... gli occhi... la donna riconobbe nel mendicante il suo perduto sposo e si gettò in ginocchio piangendo: "Perdono... ansimava perdono mio signore... vi ho creduto morto..."
Il barone Ruggero oltre che essere crudele e falso era anche un vile, perciò visto come si mettevano le cose, saltò a cavallo e con la sua gente ritornò lesto lesto a Sessa. Il Pievano pensò bene di ritornare a Brebbia.
Intanto la brava gente della Valcuvia (a cui non era mai piaciuto il barone) acclamava Fredo, il loro unico signore.
Mentre Fredo godeva del suo trionfo, un puzzo di zolfo gli solleticò le narici ed una voce profonda gli sussurrò: "Ricordati la promessa o guai a te!"
Fredo si guardò attorno smarrito, e vide in un recinto i maialetti che avrebbero dovuto fornire la carne per il banchetto dell'indomani. Senza curarsi della gente, chiamò a sé una decina di guardie, aprì il recinto e spinsero i maialetti verso la chiesa punzecchiandoli con le spade. Le bestie corsero grugnendo verso l'edificio e, travolgendo alcuni serventi, entrarono in chiesa. "Contali gridò Fredo ridendo sono più di cento... ma sono generoso e ti regalo qualche anima in più!" Satana ruggì di rabbia, ma il conte aveva ragione: i maiali erano stati i primi esseri ad entrare in chiesa quel giorno, così il demonio scornato se ne tornò all'inferno accontentandosi delle anime dei maiali! L'indomani il conte Fredo (sbarbato, ben vestito e ripulito) chiamò Celeste. "Signora le disse voi siete sempre mia moglie, ma mi avete tradito e non vi posso perdonare. Non siete stata capace di resistere nemmeno sei mesi senza di me. Andate a vivere a Grantola dai vostri parenti. Non vi voglio più vedere!" Invano la contessa si gettò ai suoi piedi, pianse, lo implorò. Fredo chiamò i servi e la fece condurre dai suoi. Non l'avrebbe più rivista.
Quanto a Fredo, egli fece distruggere il palazzo che aveva visto il tradimento della donna. Lasciò erette solo le mura di cinta e la grande torre dentro la quale si chiuse come un eremita lasciando le cure del feudo a suo nipote, figlio del fratello di suo padre, in modo che il nome dei Da Mesenzana non si estinguesse. Ogni tanto Fredo usciva dalla torre per fare lunghe passeggiate nei boschi e quando incontrava un povero lo colmava di doni, ed era sempre pronto ad aiutare tutti, qualunque fossero i loro bisogni.
A volte i contadini gli dicevano "Conte Fredo... voi siete un santo!" Al che egli rispondeva: "Se fossi un santo avrei perdonato mia moglie" e gli occhi gli si inumidivano di lacrime.
Corbella Roberto, Fiabe prealpine