Verso la fine d'aprile, proprio il giorno del sabato santo, ero sceso prestissimo al torchio e, prima di mettermi al lavoro, sostai sulla stradicciola a strologare il cielo. Pioverà oggi? Pioverà domani? A occidente certe nuvole rossicce e vaganti mi rispondevano di sì. Infatti il proverbio dice: "Rosso di mattina, la pioggia è vicina". Me ne doleva perché Pasqua bagnata non è un buon pronostico per la primavera. Scrutavo così il cielo quando, nel volgermi per rientrare al torchio, scorsi una figura che avanzava sulla via sassosa.
Era un uomo, un vecchio, anzi stravecchio, sembrava Matusalemme e subito pensai: Ecco la miseria che se ne vien a braccetto della vecchiaia. Veniva innanzi a passi lenti e strascicati ed io vedevo così avanzare una schiena ricurva ad arco, un braccio stanco appoggiato al bastone, un viso scavato da rughe profonde, una testa di capelli bianchi, lunghi e incolti che si confondevano con la barba che quasi lambiva la terra. E quel corpo magro e patito era ricoperto di cenci e i sandali mostravano i piedi sanguinolenti.
Ecco, pensai, sarà un accattone che ha passato la notte in qualche cascinale e ora viene al villaggio a cercarsi un tozzo di pane. Quando mi fu vicino, m'aspettavo un saluto, un volgere del capo, una richiesta di non so che, invece passò oltre come se non m'avesse scorto e ansimava e biascicava parole incomprensibili.
Alla vista di un così stravagante vagabondo mi scossi, lo raggiunsi e battendogli leggermente la spalla dissi:
Eh! quel bravo uomo, dove andate a quest'ora? Perché non vi fermate a riprender fiato, dite siete così affrettato?
Il vecchio non s'arrestò, ma rispose piano: Non posso fermarmi.
Allora replicai:
Ma perché, dove andate in nome di Dio?
Il viandante alzò il bastone in direzione del campanile che spuntava sulla collina come un enorme cero piantato in mezzo ai prati e disse brevemente: C'è una chiesa lassù, vero?
Sì, risposi, andate dal curato forse?
E intanto lo seguivo passo passo, rasente al muro e mi stupivo del suo procedere senza una breve sosta e sì che barcollava.
No, rispose non vado dal curato, ma vorrei saper quando cominciano le funzioni del sabato santo e quando press'a poco suoneranno le campane. Ho ancora tanto cammino da fare?
Alle nove tutto sarà finito, prima si farà il fuoco sacro, poi verrà benedetta l'acqua e le campane suoneranno alle otto e mezza circa. Per arrivare lassù con il vostro passo, vi abbisogneranno due ore buone, la strada è in salita.
Ancora due ore, sospirò lo sconosciuto non ne posso più.
Ma allora, incalzai, perché non vi riposate un momento? Sedete qui sul muricciolo o venite al torchio, qualcosa vi darò per scacciare la fame più grossa.
Mi rispose allora:
Non posso, vi dico, devo continuare la mia strada, io non conosco soste.
Ma ditemi, perché, chi siete?
Sono l'Ebreo errante.
L'Ebreo errante! esclamai sconcertato.
Sì. l'uomo che porta con sé la sua condanna: andare, sempre andare, senza un minuto di respiro e soltanto una volta all'anno mi è concesso di riposare queste stanche ossa.
Una sol volta all'anno! feci eco come in sogno.
Precisamente, ed è per il sabato santo, quando mi trovo davanti a una chiesa, nel momento in cui le campane annunziano la resurrezione del Signore! Solo allora io posso concedermi un po' di riposo sul sagrato, per poi riprendere il mio cammino. Sempre così fino alla consumazione dei secoli.
[ ... ]
Ma infine cosa direte alla gente che vi vedrà sul sagrato? I curiosi non mancano. Non a tutti è dato di vedermi e riconoscermi: sapevo che tu avresti creduto alle mie parole, perciò mi sono rivelato. lo passo come un'ombra sulle vie del mondo, diciannove secoli sono che cammino, cammino senza tregua, questa è la mia condanna.
Ripresi la via del ritorno, quando mi volsi all'angolo della strada, non vidi più l'Ebreo errante ed io avevo l'anima piena di tristezza.
M. Cavallini Comisetti, Gentemolinara, Gastaldi, Milano 1956; Fiabe e leggende del Ticino, Vol. 1 Sottoceneri, Centro didattico cantonale, Massagno