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La principessa romana

In tempi lontani, la zona media della valle del Vedeggio, racchiudeva un piccolo lago, paludoso in quasi tutte le sponde e sbarrato a mezzodì dalle colline di Molinzero, irte di rovi e di sterpi.

I fianchi dei monti vicini verdeggiavano di castagni e di querce, e, qua e là, nelle radure, erano sparse misere capannucce abitate da boscaioli.

Durante i primi secoli dell'era volgare, giunsero profughi in Val d'Agno, una principessa romana, il suo giovine figlio: e un seguito di servi con carriaggi.

La letizia azzurra del Ceresio e del cielo prealpino, gli ondulati poggi del Malcantone, del Vedeggio e della Capriasca, le giogaie dei monti accavallantisi e rincorrentisi verso il Ceneri e oltre, tra vaporose sfumature di color verde e celeste, e tra bei giuochi di luce e d'ombra, avvincono i romani.

Mentre i servi provvedono in una piega delle colline, presso Molinzero, a rizzare l'attendamento, il giovine romano in treno da caccia si inoltra con bracchi e levrieri nelle selve vicine.

In poco tempo fa abbondante cacciagione.

Imbattutosi in alcuni taglialegna, questi pretendono da lui la selvaggina catturata.

Il romano oppone un reciso rifiuto e coloro gli sono addosso.

Ne nasce una zuffa selvaggia.

A difesa del loro padrone, i cani s'avventano sugli assalitori, costringendoli a cedere e dilaniandone uno, che la paga per tuttti.

Il cacciatore ritorna alle tende.

Vedendolo malconcio, la principessa si spaventa; e, con accorato dolore, ascolta dal figlio la triste avventura.

Prima dell'alba, rintronarono nella valle i corni, in segno d'allarme.

Gli indigeni si misero a perlustrare i dintorni per iscovare il forastiero e vendicare il morto compagno.

Giunti all'attendamento, stavano già per lanciarsi a fare strage, quando, ritta sull'apertura d'una tenda, s'affacciò la matrona romana, splendido fiore di grazia e di bellezza.

Alta, bionda, ammantata di bianco, la principessa, con nobile gesto della mano, accompagnava verso gli armati la parola "Pax", che le usciva dal labbro tanto armoniosa.

Davanti la maestà della romana, quei fieri uomini si sentirono sbollire ogni ferocia; rimasero stupiti, attoniti, vinti, soggiogati.

La principessa avvicinatasi a loro, così parlò:

- Partecipo al vostro cordoglio e deploro ci sia stata una vittima. Ho con me l'unico figlio e uno stuolo di servi. Siamo profughi romani. Accoglieteci in codesto vostro paese! Mio figlio e i miei servi sono agricoltori e costruttori. Vi  promettono di trasformare la vostra contrada in un giardino.

La proposta della principessa fu discussa, vagliata, accolta.

Indigeni e romani vissero assieme pacificamente e collaborarono a opere utili e benefiche.

Lo sbarramento di Molinzero venne tagliato; il laghetto svuotato; arginato il fiume; prosciugato il terreno e messo a coltura; un ponte gettato dall'una all'altra riva di Molinzero; le sodaglie bonificate e rese liete di messi e di viti.

Si vuole che quel primo nucleo romano abbia contribuito a diffondere la buona novella in Val d'Agno. Una prima edicola sarebbe sorta dove alcuni secoli dopo, fu edificato San Mamette, pregevole chiesa romanica, lungo la via del Ceneri.

La popolazione del Vedeggio ricorda la principessa con sentimento di venerazione, e onora in lei il buon genio che apportò al paese i tesori della civiltà di Roma.

 

V. Chiesa, L'anima del villaggio, Gaggini, Lugano 1934


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