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Una fanciulla cieca ottiene la vista e salva la madre

In quel limpido mattino di giugno, le convalli del Malcantone erano un incanto di luci, di colori, di profumi.

Di buon'ora, una contadina s'avviò ai campi, conducendo a mano la propria figlioletta cieca dalla nascita.

"Vedessi" le andava dicendo "che svariare di paesaggi e che fioritura nel verde lucido dell'erbe e delle piante!"

"Nei prati botton d'oro, tremacuori, acetoselle, viole, margherite... Sui dossi ciocche di ginestre, grappoli di robinie, coroncine di sambuchi."

"Giù, verso il lago Maggiore, gradazioni di verde e velature d'azzurro. Su, dal monte Lema al monte Rosa, il profondo arco del cielo. E in faccia a noi il fulgido sole di primavera."

La ragazza seguiva attenta la voce della madre, una voce tanto dolce in quell'ambiente vibrante di canti d'uccelli e di musiche d'acque.

"Mamma, sento un trillo vicino. Mi dici cos'è?"

"La capinera."

"E dov'è ?"

"Nella siepe."

"Ieri, a sera, gorgheggiava un uccello e m'hai detto che ha una voce di paradiso."

"Si, l'usignuolo."

"E cos'è il paradiso?"

La madre non le dette risposta.

Dopo un po', la piccola cieca riprese le ingenue domande.

"Marama, m'hai dianzi detto il nome di tanti fiori. Dammene alcuni."

E la madre le colse timi, salvie, mentastri.

"Che soavi odori! Ma da dove viene ora quest'aria fresca?"

"Dal vallone vicino."

"E prima, perchè non spirava?"

La donna, imbarazzata spesso da quell'insistere di domande, si taceva o cercava di sviarle il discorso.

Camminavano madre e figlia per un sentieruolo, lungo il ciglio del vallone.

"Mamma, non senti che profumo?"

"Oh, son già fioriti i ciclamini!"

"E cosa sono i ciçlamini ?"

"Piccoli bei fiori."

"Me ne cogli uno?"

"Non posso. Sono accestiti in una china pericolosa. Potrei cadere, farmi male. E senza di me, che faresti?"

"Mamma, se il ciclamino è un piccolo bel fiore, lo voglio."

"Ma aspetta! Forse ne troveremo più innanzi, a portata di mano. E poi, fra qualche settimana, ce ne saranno tanti e tua madre te li coglierà tutti."

"No, mamma! Voglio uno di questi."

"Ma ho paura, benedetta fanciulla! Contentati dei fiori che ti ho ora colti."

La piccina tornò ad insistere. E la madre che, pur di appagare un desiderio della sua diletta creatura, si sarebbe gettata nel fuoco, la volle accontentare.

Passò sotto la spranga, che correva sull'orlo del precipizio; mise innanzi adagio adagio un piede dopo l'altro, aggrappata a ginestre e a sterpi.

Era finalmente presso un cespo di ciclamini.

Rassicuratasi d'avere ben fermi i piedi, si curvò cauta, tenendosi in bilico e allungando la destra per spiccare il grazioso fiore. Ma, orrore, si rizzò improvviso un serpe, in atto di mordere.

La contadina, in un istintivo sussulto di ribrezzo e di spavento, cacciò un urlo disperato. Perdette l'equilibrio, rotolò per la bricca, rimanendo per miracolo impigliata tra i rovi. Giaceva la meschina tramortita, rantolante...

La figliuola cieca aveva intuito tutto. Affacciata alla spranga, piangeva, strillava, chiamava a gran voce la mamma, annaspava con le misere mani l'aria...

Povero cuoricino! Che strazio! Che cocente e lacerante desiderio di salvare la mamma e non potere nulla!

Un duplice, simultaneo, rapidissimo tremito, simile a corrente elettrica che dia luce, compì il prodigio di aprire le pupille della ragazza.

"Oh, mamma, mamma!" singhiozzò la non più cieca figliuola.

"Oh, dove giaci! T'aiuto! Ti riporto su io!"

La ragazza trasse dal pericolo la mamma. Di ritorno alla rustica casetta, la figliuola

contemplava per la prima volta il volto materno, un volto pallido come l'alba, ma prossimo a essere rischiarato da una luce vivificatrice.

In quel tripudio di primavera, infinite cose nuove, colorite, splendenti, sfolgoranti si schiudevano allo sguardo tra attonito e sperduto della fanciulla.

Anch'ella vedeva il mondo che dal sol grande s'allegra.

Ne era abbagliata, colta da indicibile stupore. Stretta stretta al braccio della mamma chiese piano:

"E' questo il paradiso, mamma?"

La madre abbracciò con calda effusione la sua figliuola. E cielo e terra, nella primavera divina, plaudivano alla felicità di due anime.

 

V. Chiesa, L'anima del villaggio, Gaggini, Lugano 1934


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