Nell'alta valle malcantonese, sopra un balcone di monte, occhieggiava, tra il verde dei castagni e delle querce, un bianco casolare, nido felice di due coniugi e d'una figlia giovinetta.
Marito e moglie, sani e forti contadini, lavoravano sempre assieme, d'amore e d'accordo, contenti e beati.
La loro Caterina tutti la chiamavano Rina una ragazza alta e agile, dal volto bianco, che risaltava leggiadro sotto l'arco della nera foltissima capigliatura; dagli occhi pieni di celeste dolcezza e dal fare distinto, non sembrava una figlia dei monti, ma un fiore d'una famiglia della più distinta nobiltà.
Rina, da Calendimaggio a San Martino, pascolava le sue vaccherelle sui morbidi fianchi del monte, rigato dal torrente di Reborì. Il luogo è tra i più suggestivi della valle.
Lungo le chine, i castagni isolati incurvano graziose cupolette e su, verso le scaturigini del torrente, frondeggia una bella accolta di faggi e di betulle, da cui la brezza trae continui fruscii.
Il torrente del Reborì effonde una musica a tratti vivace, a tratti soavemente melanconica, dentro la quale modulano freschi e giocondi accordi i fringuelli, i pettirossi, i merli, le cingallegre.
Rina si sentiva anch'essa stimolata a cantare con gli uccelli e con le acque correnti, o a sussurrare un motivo come facevano le fronde leggermente scosse dallo zefiro.
La sua voce esile ed espressiva assomigliava al trillo d'una lodoletta.
Spesso, ella soleva cantare con le compagne pastorelle, in crocchio, vicinissime per infondere al canto un'anima sola.
Oh, lunghi e nostalgici finali, che gli echi del monte si portavano via in fughe rapidissime!
Le cantatrici quasi assorte si compiacevano d'ascoltare l'ultima loro armonia trascorrente lontana, per le cime imporporate del tramonto. Con gioia fidente, Rina s'affacciava alla soglia della gioventù.
Ma, ahimè! Un morbo terribile, in pochi giorni, le spense il padre e la madre.
Rina sentì schiantarsi il cuore.
Cercavano le compagne con atti e parole di recarle qualche conforto.
Invano.
La poveretta, straziata nel più intimo dell'animo disperava di vedere rispuntare sul suo cammino un raggio consolatore.
Una notte, Rina scomparve. Né si seppe dove. Furon fatte molte ricerche, senza risultati.
Le pastorelle, nei pressi del torrente di Reborì, ricordando, durante un pomeriggio, la loro sventurata amica e le canzoni cantate con lei, lanciarono assieme alto e forte il grido:
"Rina! Rina! Rina!".
E, stupore, udirono rispondere dall'interno del torrente la sottile ben nota voce di lei:
"L'è chi, l'è chi, a Reborì"
Un brivido serpeggiò nella loro fibra; si guardarono pallide, sospirose, i lucciconi agli occhi.
"È lei?" sussurrarono con un tremulo filo di voce, trattenendo con la mano il respiro.
"È lei! È lei!".
A una nuova flebile chiamata delle pastorelle, ecco Rina ripetere nel nativo vernacolo:
"L'è chi, l'è chi, a Reborì".
Rina s'era consumata in lagrime sulle rive di Reborì.
A tanto dolore, le Naiadi pietose emersero dal torrente e accolsero la povera orfanella nel loro regno.
La misteriosa trasfigurazione avvenne d'un subito.
Rina visse e vive tuttora, ninfa purissima nell'eterno fluire delle acque di Reborì.
Virgilio Chiesa
Almanacco ticinese e indicatore commerciale, 1931