I paesetti dell'Alto Malcantone sono disposti lungo un emiciclo di brevi promontori e sembrano accomodati su sedili per ricrearsi all'aria e al sole, e per contemplare vaghi prospetti del paesaggio prealpino.
Alle loro spalle l'arcuato schienale della catena, che dal Lema s'attesta ai Gradiccioli del Tamaro, e sopra le loro teste il profondo azzurro del cielo.
Se ne stanno questi villaggi presso che a uguale distanza l'uno dall'altro, inghirlandati, nel volger dell'aprile, dai ciuffi bianco rosa delle piante da frutto in fiore, e recinti dal verde dei prati e delle selve di castagni.
Solo fra Miglieglia e Breno il distacco è maggiore, ma, a bene osservare, lo spazio compreso fra le due terre presenta, nel punto intermedio, un dolce ripiano, che pare fatto apposta per accogliere un mucchietto di case, con al centro lo stelo di un campanile.
Ebbene, proprio lì, nel medio evo, si affacciava il paesino di Tortoglio.
Se non che, un malaugurato anno del sec. XV, la peste ne falciò gli abitanti, risparmiando, al dir della tradizione, solo due ragazze, che si stabilirono una a Miglieglia e l'altra a Breno.
Scomparsa quella tribù di famiglie, le case di Tortoglio caddero in rovina; i campi, non più coltivati, si copersero di sterpi e di rovi, e dove prima era fervore di vita e di opere agresti fu abbandono, desolazione, morte.
Nessuna persona osò metter piede nei vicoli di Tortoglio. Un nuovo sentiero venne praticato poco sotto le case e, passando di lì, il viandante si affrettava, preso da brividi di spavento, credendo che la peste in persona stesse in agguato per ghermire nuove vite.
Le due ragazze di Tortoglio scampate alla morìa - sempre secondo la tradizione del popolo - andarono spose rispettivamente a Miglieglia e a Breno, portando ciascheduna in dote metà del territorio di Tortoglio.
Quando si trattò di procedere alla divisione del suddetto territorio, incominciarono i guai, e i guai crebbero in seguito, allor che s'interposero nella contesa i due Comuni finitimi di Miglieglia e di Breno.
Mediante la buona volontà e lo spirito di concordia, Breno e Miglieglia potevano benissimo intendersi e dividersi equamente boschi e pascoli. Invece, no: l'avidità del possesso, eccessivo nell'una e nell'altra parte, fu cagione di discordie, di litigi, di odi e purtroppo anche di fatti di sangue.
Si ricorse più d'una volta ad arbitri, ma senza risultato.
Intanto, i rapporti fra i due villaggi dell'Alto Ma1cantone si erano avvelenati e le popolazioni vivevano in istato di aperta ostilità.
Finalmente, verso la fine dell'Ottocento, si riuscì a comporre il secolare conflitto.
In margine al fatto storico, si venne formando la leggenda.
Quei di Breno e di Miglieglia, che si erano tanto affannati nel contendersi il territorio di Tortoglio, portarono anche oltretomba il loro litigio, continuandolo con uguale se non con maggiore accanimento.
Quasi ogni notte, nella zona di Tortoglio riapparivano le loro ombre, scambiandosi fiere invettive, che si ripercuotevano nella valle con echi sinistri.
Ripetuta con frequenza e con rabbia l'espressione: «È qui!».
E si vedeva uno spettro, con sulla spalla un termine, che esso piantava in un certo posto, esclamando: «È qui!»,
Tosto, un altro spettro strappava il termine e rapido l'andava a ficcare altrove, gridando a sua volta: «È qui!».
Il termine veniva ritolto da un terzo spettro e riportato in altro posto, e così di seguito, tutta la notte.
Per buona fortuna si fece la pace tra i vivi e da allora anche i morti si placarono.
Virgilio Chiesa, Almanacco Ticinese, 1943, p. 167-168